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«Nulla è vero, tutto è permesso» è la sconcertante legge di Hasan Ibn Sabbah, Capo Supremo della setta ismailita degli Assassini, una legge che annulla tutte le altre, nel nome della fede cieca e delle armi.
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Alla fine dell'Undicesimo secolo, la fortezza di Alamut è la base e il rifugio degli Assassini, impegnati nella guerra totale contro la dinastia sunnita dei Selgiuchidi, padroni dell'Iran. Qui vengono portati i giovani Halima e Tahir e qui avviene la loro formazione: la sapienza erotica per Halima, la guerra per Tahir, la filosofia e la religione per entrambi. Ma sopra ogni cosa l’obbedienza assoluta al signore della setta, l’annullamento della propria volontà individuale, il sacrificio di sé in vista del premio finale, un Paradiso di cui solo Hasan, un dio terrestre, detiene le chiavi. Il suo controllo sulle anime dei credenti è totale, perché Hasan Ibn Sabbah ha un progetto che soltanto alla fine, sotto la minaccia dell’esercito sunnita e della battaglia finale, sarà rivelato. Alamut è un libro maestoso e inquieto, un'opera visionaria che cela la propria densità nelle vesti di perfetto romanzo storico. Nella sua trama s'intrecciano avventura e filosofia, respiro epico e indagine psicologica, specchio della vastità degli interessi del suo autore e delle angosce del suo tempo - la fine degli anni Trenta - con la chiara coscienza della catastrofe che stava per abbattersi sull'Europa. Per Vladimir Bartol, intellettuale e futuro partigiano, la narrazione storica era certamente anche un veicolo per un’analisi spietata delle pratiche attraverso cui i dittatori drogano e manipolano le coscienze, una denuncia, etica e politica, dei regimi che aveva visto crescere. Ma Alamut è anche un’enciclopedia della sapienza e della follia umane, un luogo denso di metafore e profezie - dai fascismi di ieri all’Islamismo radicale di oggi - e infine la storia di due giovani che si confrontano con un mondo minaccioso e subdolo, che ne userà le paure e i desideri profondi.